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al testo di Ivan Pozzoni
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Per scoprire le cause del mio vivere ogni evento come in dissenteria, hanno versato inchiostro, enorme svista, nella cannula della gastroscopia i medici anatomopatologi, e mi hanno diagnosticato la malattia invettiva, associata a reflussi letterari, dilagati dall’esofago, a ossidarmi la gengiva.
Quando, cane cinico al collare, fiuto odor di malcostume o lezzo d’egopatia non riesco a tollerare l’altro-nel-mondo, vittima d’abuso di xenofobia dimentico ogni forma di fair-play, calo nella nebbia del Berserker, incazzato nero come uno Zulu costretto a sopportare un afrikaner, dico rom al sinti, sinti allo zingaro, zingaro al rumeno, rumeno al rom non riuscirei nemmeno a trattenermi dall’urlare a Hitler aleikhem Shalom.
Se non vi digerisco sento dentro «uh, uh, uh» come Leonida alle Termopili, identificando i vermi, che mi stanno intorno, coll’acuirsi del valore dei miei eosinofili emetto, in eccesso, acido cloridrico e smetto di disinibire la pompa protonica con la disperazione di un Mazinga mandato in bianco dalla donna bionica, sputando, con l’accortezza del Naja nigricollis, ettolitri di cianuro in faccia a chi, dandomi noia, sia condannato a sbatter la testa al muro.
Per comprendere l’ethos del mio vivere in assenza d’atarassia barbaro che incontra un cittadino nella chora dell’anti-«poesia», sarete tutti, nessuno escluso, costretti a inoltrarvi in comitiva nei meandri labirintitici della mia malattia invettiva.
[inedito, 2018] |
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